giovedì 25 novembre 2010

Report interno della seconda tappa di Appignano (20-21 nov. 2010) A cura di Théo Ercolano e Stefano Collizzolli

Di seguito, le note relative alla giornata di sabato. In corsivo, sotto al racconto della dinamica, nostri commenti, domande e stimoli di riflessività


A: Sabato (15.30-21.00)
Presenti: Roberto, Raffele, Annalisa, Luana, Alessandra, Giuseppina, Lorena, Arianna, Matteo, Valerio, Luigi (un pò dopo).
Assenti: Davide, Andrea, Camillo, Alice.


Zero
autopresentazione del formatore
brevi autopresentazioni dei partecipanti.
schema delle due giornate (fingiamo che i progetti siano finanziati, e cerchiamo di capire come farli)

Uno: introduzione al metodo di lavoro all'atteggiamento dei due giorni. 40'
Un tentativo di proporre allo stesso tempo il metodo di conduzione del lab e l'atteggiamento da tenere durante questa formazione: curioso alle cose ovvie, paziente e molto osservatore.
Gioco di coprire i nove punti con quattro segmenti senza staccare la penna dal foglio. Chi ci è riuscito spiega come ha fatto: non guardare i nove punti come un quadrato.
Grazie al lavoro congiunto di chi ci è riuscito e chi non ci è riuscito, portiamo l'esercizio alle sue conseguenze: "vedere un quadrato" è un meccanismo che ci racconta come funzionano i frame di cosa diamo per scontato; ed un esempio di come i frame, le premesse implicite, siano resistenti – anche i frame più semplici, quelli percettivi. Si lavora bene se si esce dal frame e lo si guarda da fuori.
"Vedere un quadrato" non è un fatto personale ma culturale. 
Da qui arriviamo all'atteggiamento dell'ascoltatore attivo - che Luigi reintepreta come doti del moderatore: 

Attivo (costruisce la realtà)
Dinamico (accoglie una pluralità di prospettive)
Goffo (valuta incidenti di percorso ed imbarazzi come momenti positivi di possibile riformulazione del frame)
Non cerca né la "soggettività" né l'"oggettività" ( me è esploratore di mondi possibili)
•Considera centrali le emozioni 
•E' attento alla forma
Come vi avevo segnalato durante l'incontro, le fonti di questo approccio sono Karl Lowith, Gregory Bateson e Marianella Sclavi. Sono tutte letture interessanti. 
In che modo vi sembra si possa tradurre in pratica della relazione quest'approccio teorico? Siete sicuri che si tratti semplicemente di essere "aperti al nuovo"? Esercizio: provate ad immaginare un caso concreto di laboratorio in cui l'esercizio di un ascolto attivo porti ad un'azione o reazione differente rispetto all'esercizio di un ascolto passivo.
 


Due: Presentazione della scala dei piani // esercizio di ritratto // discussione dell'esercizio. 1h 40'
Presentazione della scala dei piani (quasi) esattamente come fosse un laboratorio di PV
Nel corso della simulazione, la dinamica è stata simile a quella di un laboratorio (anche se, ovviamente, molto più rapida):  maiueticamente si nota come il pp sia emozione, il totale contesto ed azione. 

Forse c'è stata poca riflessività sul fatto che non era un insegnamento sostantivo, ma un meta-insegnamento? Non lo so, è stata una nostra impressione, pensateci.


Passando all'esercizio vero e proprio, probabilmente la maggioranza dei partecipanti l'ha preso come  un'esercizio di ripresa, cosa evidente nei commenti alle immagini degli altri e nella tensione nella presentazione del proprie. Bene di per sè, prima di insegnare bisogna imparare - a patto però che ad un certo punto si incominci a pensare a come comportarsi nel far fare questo esercizio a qualcun altro.
Curioso osservare come le immagini si dividessero in categorie a seconda dei quattro gruppi. Il primo gruppo ha costruito delle piccole fiction in tre atti, carine, molto visuali, lavorando sull'azione.  (La messa in scena è un meccanismo difensivo). Il secondo gruppo si è autoritratto collettivamente (stavano tutti fumando, e si sono raccontati nel fumare una sigaretta), in qualche caso più stilisticamente, in altri con più osservazione. Il terzo gruppo ha fatto comandare la messa in scena dall'attore (fai quello che vuoi, io ti riprendo). L'ultimo gruppo ha eseguito l'esercizio come si doveva: tre piani, che raccontano una persona. 
Elementi di riflessione:
A: cercare un ritratto intimo di un altro è un pratica difficile, un lavoro di cooperazione fra chi riprende e chi è ripreso. Spesso, in ultima analisi, le immagini raccontato principalmente la relazione fra attore ed operatore. (Nel caso dei due esercizi successivi, fra attore, operatore e pubblico) Questa centralità delle relazioni è evidente nel "conformismo di gruppo" delle riprese. La difficoltà di lavorare sulle interazione è evidenziata dal buon livello tecnico e lingistico delle riprese: anche se "si sa" riprendere, sulle intenzioni e sulle interazioni c'è sempre da lavorare... 
B: Le indicazioni del conduttore su come portare a termine l'esercizio erano volutamente abbastanza vaghe. In che modo gli spazi che ho chiuso e quelli che ho lasciato aperti hanno influenzato le iprese? Come formulare il compito da svolgere in un esercizio in modo da chiudere o aprire più spazi per la creatività del partecipante?
C: Infine: vista l'expertise della camera nel gruppo, dal punto di vista del linguaggio siamo andati molto avanti. In un laboratorio non succede così... esercizio: immaginando un gruppo di neofiti che abbiano eseguito l'esercizio dei tre piani "come si deve" (e cioè puro ritratto), escogitare degli altri esercizi che portino il gruppo a 1) rifare il ritratto inserendo la parola della persona ripresa 2) rifare il ritratto senza usare il suono 3) raccontare un'azione.
(Saper inventare un esercizio è importante: nonostante ci sia un set di esercizi sperimentati, spesso  passaggi dell'apprendistato sono improvvisati a seconda delle reazioni e delle resistenze del gruppo).


Tre: la camera in circolo: 40'
Esercizio classico: in cerchio, tutti intervistatori e tutti intervistati.  una domanda aperta: ripresenta il tuo progetto originario, cercando di convincerci. Seconda domanda: una domanda intima e personale a sorpresa, a scelta dell'intervistatore.
rivediamo le immagini, e scopriamo che  a volte la camera era spenta… rifacciamo ciò che manca.


Quattro: discussione di gruppo su un problema 1h 20'
[discussione post studio di caso.ppt]
Buona parte dei partecipanti devono andarsene. (Restano Luigi, Raffaele, Annalisa, Arianna, Luana, Alessandra)
Si dovrebbero fare due gruppi, se ne fa uno solo. L'incarico è assegnare tre ruoli (Presidente: coordina la discussone, dà i turni di parola, propone sintesi. Segretario: annota tutto. Presentatore: sintetizza la posizione del gruppo) e di arrivare obbligatoriamente ad un consenso sul tema.
ll problema in estrema sintesi e semplificando è un crisi di conduzione ed El Jem fra coordinatrice locale (che vuole il film per i diritti delle donne) e i partecipanti (che sono misogini).
Molta passione: si discute allo sfinimento.
Soluzione sostantiva ottima: non ci si arrende al gruppo nè si impone il punto di vista del trainer: Si lascia perdere temporaneamente il prodotto e si riapre il processo.
Forse ci è mancata un pò di riflessività esplicita sulla discussione nel gruppo: impatto dei ruoli, necessità di arrivare ad un consenso.

Attendiamo reazioni! Buon lavoro.
Théo e Stefano

Nessun commento:

Posta un commento